“Lettere di Ermengarda a Carlo Magno“, di Tiziana Mazzaglia, ilmiolibro.it Feltrinelli, Milano, Ottobre 2015, pg. 96, ISBN 9788892301450. Disponibile anche in e-book.
Premessa
Questo volume si pone tra l’immaginario e il reale, narrando in forma epistolare quella che l’autrice immagina sia stata l’esperienza della giovane Ermengarda, sedotta e abbandonata, sposata e ripudiata, amata e lasciata sola con “le trecce sparse sull’affannoso petto”.
La protagonista dell’opera “Adelchi” di Alessandro Manzoni, diviene qui narratrice in prima persona, per svelare come l’animo umano femminile sia capace di sognare e di amare, oltre il limite della ragione, sacrificando se stessa. Un’esperienza che si svelerà alla fine, grazie alla dimensione onirica, come occasione per vivere la propria femminilità.
Una raccolta di lettere, a cui Carlo Magno non ha mai risposto, chiuse nel silenzio di un abbandono che cinge il cuore di Ermengarda, ancor di più delle grate del convento di clausura in cui si era ritirata.
Ermengarda appare una donna del passato mai passata di moda, ma sempre attuale, perché ancora oggi, le donne capaci di amare corrono il rischio di diventare oggetto di un amato che se ne prende gioco.
Queste lettere appaiono scritte per Carlo Magno, ma in realtà sono rivolte a lettori e lettrici che decideranno di vivere quest’avventura tra le righe in cui, forse, potranno apprendere il valore di un cuore, per evitare di recare ferite nel proprio e in quello dell’altro/a che incontreranno lungo il loro cammino.
Introduzione
Perché parlare di Ermengarda nel 2015? Per chi vive a Pavia, come me, la presenza di questa principessa è rimasta impressa nelle strade e nel monumento di Arnoldo Pomodoro, posto nella rotonda del San Matteo, ma ancor più si tratta di un personaggio da sempre studiato sui banchi di scuola. Come insegnante di lettere, non lascio trascorrere nessun anno scolastico in cui Ermengarda non sia citata. Basti pensare alla nota frase del Manzoni scritta nel coro IV dell’Adelchi: “sparse le trecce morbide sull’affannoso petto”. Citazione da sempre usata dagli insegnanti di latino, per spiegare l’ablativo assoluto. Ermengarda è una donna, che seppur abbia vissuto una breve esperienza nel mondo, per poi ritirarsi in monastero, rimarrà sempre un esempio di come le donne riescono ad amare, oltre ogni limite, cadendo addirittura vittime dei loro stessi sentimenti. Creature dotate di ogni sfumatura affettiva: dall’affetto fraterno e materno alla passione più sfrenata, capaci di saper accogliere l’altro malgrado si riveli una presenza dannosa per se stesse. Troppo spesso si sente parlare di donne cadute in trappole di rapporti personali, mal gestiti, ed incapaci di rimboccarsi le maniche. Trovo che conoscere il dolore di Ermengarda possa aiutare molte di queste donne a comprendere l’importanza dell’amore per se stesse, al fine di poter dosare il loro coinvolgimento emotivo nei rapporti con gli uomini. L’Ermengarda che compare tra le righe di queste lettere è sofferente al punto di lasciarsi morire in un monastero, che la protegge dal mondo, ma non dai suoi pensieri. Percepire il suo dolore può permettere di innescare, in se stessi, un meccanismo di ‘sano egoismo’: giungendo ad un recupero di stabilità mentale, dissociato da qualsiasi altra presenza, concentrando su se stesse tutte le fonti di energie utili a poter vivere felici.