La società dell’ozio, un peccato imposto dallo Stato

di Tiziana Mazzaglia   @TMazzaglia

 

Pubblicato in «I Vespri», 08/06/2013, pg. 18, tot. p. 1 http://www.ivespri.com

L’art. 2 afferma che “L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” eppure oggi gran parte della popolazione italiana si ritrova disoccupa. Le conseguenze sono drastiche, perché senza lavoro non si riesce a vivere, nei campi di concentramento vi era scritto “Il lavoro rende liberi”, oggi siamo ognuno nel proprio campo di concentramento a casa propria, in cui neanche il lavoro ci rende liberi! Un altro articolo della Costituzione Italiana, il 35, afferma che “La Repubblica riconosce il diritto all’ emigrazione e tutela il lavoro italiano all’estero” testo scritto nel 1946-47, quando molti italiani erano costretti a emigrare a causa della mancanza di lavoro. Mi chiedo se l’attuale condizione non debba richiedere una scrittura moderna e attuale in campo del lavoro, tutelando la vita e la dignità umana, in particolare di chi ha speso anni studiando e formandosi. Non serve più avere un buon curriculum, almeno nei romanzi di una volta chi studiava non solo era rispettato, ma riusciva anche a mantenere famiglie. Chi offre anni della sua vita allo studio viene considerato un nulla facente e un inutile membro della società, schierato in fila per un posto di lavoro. Sembra di vedere le processioni di uomini e donne, delle scene dei film, in cui si racconta la Shoah! La cultura serve a mantenere la memoria, il ricordo e la consapevolezza di cause e conseguenze. Basta ricordare i popoli del Mediterraneo, la potenza degli Egizi e il loro alto livello di cultura, arrestato e distrutto dalla guerra. E cos’è la crisi se non una forma di guerra? Che adopera l’arma della disoccupazione. Anche nel lontano oriente intorno al 2500 a.C. la popolazione Indiana viveva un periodo evoluto, facoltoso, progredito, distrutto e arrestato dagli ariani. Questi popoli vivevano già in villaggi e il popolo praticava vari lavori, esistevano già i negozi, dal latino nec-otium, negazione di ozio, cioè attività, occupazione, faccenda, traffico. Un luogo in cui non si ozia! Considerato un peccato, caratteristica indispensabile dell’accidia, uno dei sette vizi capitali. Nel testo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, I sette vizi capitali, Storia del peccato nel Medioevo, ed. Einaudi, Torino, 2000, a pg. 90 vi è scritto: «Insomma, se nella vita contemplativa l’accidia è soprattutto noia, amarezza, tristezza, mancanza di concentrazione, nella vita attiva essa è per lo più ozio, indolenza, continua ricerca di distrazioni». Si tratta di inattività, un’astinenza dal produrre. I monaci del Medioevo lottavano contro l’ozio, inteso come volontà demoniaca, minaccia contro l’umanità. Basti pensare «All’immagine del cosmo come universo in perenne movimento e della terra come operoso cantiere popolato di creature alacri e industriose, lo Speculum morale, rielaborando il passo di Peraldo, fa seguire una serie di esempi, a dir poco autorevoli: Dio, che all’inizio dei tempi si riposò solo il settimo giorno dopo aver “lavorato” per ben sei giorni di seguito e che ora non cessa un momento di governare la successione degli eventi; il Cristo, che non si fermò mai fino al giorno della sua morte andando in giro, predicando, rimproverando, facendo miracoli, pregando di notte e lavorando incessantemente per la salvezza degli uomini (…)». Parecchi sono gli uomini colti, letterati e filosofi che hanno definito l’ozio. Secondo Guglielmo di Saint-Thierry “Il male supremo dell’animo è l’oziare inoperoso”. Egidio di Assisi diceva, “L’uomo he stia ozioso si perde in questo mondo e anche nell’altro”, un poeta, saggista e romanziere cieco, Milan Kundera, vissuto nei primi del Novecento, aveva scritto: “ Nel nostro mondo l’ozio è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca”.