Professori sui banchi

di Tiziana Mazzaglia  @TMazzaglia

 

Pubblicato in «SocialNews»,  24/02/2014 tot. pg. 3 http://www.socialnews.it/cultura/10342

 

Lettera dedicata a chi non sa cosa si nasconde dietro il titolo di “Professore” in Italia. Vite umane che navigano correnti per approdare ad una sponda senza che il loro viaggio sia inteso.

In questi giorni, in Italia, si stanno svolgendo i corsi del PAS, ovvero il percorso abilitativo speciale, un’altra novità italiana contraria a quanto previsto dalla Comunità Europea. Chi sono i partecipanti? Sono coloro che hanno partecipato ad una selezione in cui sono stati valutati i percorsi di studi accademici, gli esami sostenuti alla laurea, gli anni di servizio, più di tre per poter accedere. Sono uomini e donne, dai trenta ai cinquanta e più, che ancora una volta si mettono in gioco, pur avendo già superato gli ostacoli degli studi universitari, costretti a vivere dove la meritocrazia non è applicata, costretti, quindi a vivere come vasi di terracotta nella minaccia di essere spaccati da un giorno all’altro, lasciando scivolare per terra il loro contenuto. Chi con due lauree, chi con già altra abilitazione, chi con il dottorato di ricerca e/o altro. Chi, soprattutto, crede nella scuola e nella cultura! Solitamente giudicati, perché “ancora malgrado tutto, vogliono insegnare”. Domanda rivolta ai corsisti di varie classi di concorso, in un’aula di un ateneo, in quel di Milano. Era l’ora di lezione, quando una docente davanti a circa duecento docenti, che meno di lei hanno solo un titolo, ha sondato e scrutato i candidati-alunni. Gente precaria che al mattino lavora per permettere allo Stato di svolgere le lezioni regolari, che garantisce il diritto allo studio a milioni di studenti, che svolge impeccabilmente il proprio lavoro, con professionalità e umanità per poi… alle ore 14,30 di tre pomeriggi a settimana, passare dall’altra parte. Si spogliano, così, della loro giacca e del loro registro, ma non della loro dignità e siedono ai banchi con tanta umiltà. Ritornano studenti di materie per cui hanno già sostenuto esami, di cui hanno scritto e discusso tesi. Tutto questo per formalizzare un titolo di “Professore” che già hanno nel momento in cui sono in servizio. Commedia all’italiana? Forse, ma è solo cruda realtà! Chi sono questi precari? Vite umane che navigano correnti per approdare ad una sponda senza che il loro viaggia sia inteso o per lo meno giustamente inteso. Sono uomini e donne che “malgrado tutto” continuano a vivere, ad amare a lottare. Trovo indecoroso dire “malgrado”, parola che riecheggia in sé il concetto di sfida, risuona come rimprovero, per dire “perché non ti sei arreso, cosa aspetti a gettare la spugna, perché sei ancora qua, non ti rendi conto che nella scuola non c’è un posto fisso per voi, precari a vita?” E come direbbe il professore poeta Roberto Vecchioni cantando i versi della sua canzone “Sogna ragazzo sogna”: «E ti diranno parole rosse come il sangue nere come la notte; ma non è vero ragazzo che la ragione sta sempre col più forte, io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero, e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo». Allora, forse i precari sono solo dei sognatori che sanno ancora vivere d’amore in un mondo consumistico. Certo, il lavoro dei docenti non è l’unico ad offrire precariato; anche altre professioni prevedono lo stesso iter. Una delle tante risposte vere, aspre e dirette è che “il lavoro rende liberi”, liberi di esprimere se stessi, coltivare le proprie passioni, liberi di cambiare il mondo nella consapevolezza che solo la cultura può farlo, liberi di donare ‘luce’ alle menti dei ragazzi in modo da permettere loro di indirizzarsi al meglio verso la propria strada. La storia ci insegna che solo attraverso l’utilizzo della scrittura si ha avuto il passaggio da preistoria a storia, solo l’informazione ha aiutato il progresso, la filosofia e la scienza hanno chiarito dove siamo, chi siamo e dove andiamo. I nostri avi hanno vissuto giorno per giorno il Rinascimento, l’Illuminismo e la società in cui viviamo questi lumi li sta spegnendo! Tagli continui alle ore di lezione, ai programmi, alle materie, tra cui le più penalizzate diritto e storia dell’arte, quando dovrebbero essere le più valorizzate! Tagli anche alle vite umane, ai professori, che se già hanno nel loro curriculum più di tre anni di servizio la loro più grande prova l’hanno già superata! Perché non andare a vedere come hanno compilato i registri, che prove hanno selezionato per i loro alunni, come hanno svolto la didattica, che rapporti umani hanno instaurato con i ragazzi, come hanno portato avanti progetti, come hanno coordinato classi, scritto verbali, relazioni, se hanno rispettato le loro scadenze. Non è questo, nel concreto, quello che deve svolgere un “professore”. Invece, no! In Italia i corsi di abilitazione sono un appiattimento monotono di corsi già sostenuti, sempre la stessa teoria, come se le menti umane dovessero essere dei computer in cui vengono installati i manuali e non si cura l’aspetto umano. Anche chi svolge le lezioni ai professori ha il suo canovaccio davanti, chi appunti, chi libri, chi slide da leggere, per intere ore. Tutti si preparano la loro lezione, ma i precari no! Devono soffrire, devono dimostrare, devono essere messi duramente alla prova di conoscere tutto! Programmi di varie materie che comprendono tutti i secoli. Nessuna lezione sulla didattica, nessun corso prevede il “come impostare una lezione”, oppure la conoscenza di cosa sono gli obblighi di un docente, cos’è un POF, quali sono le modalità di recupero dei ragazzi, quali sono le dinamiche da adoperare con i ragazzi bulli. Solo lezioni su lezioni con obbligo di frequenza ed esami da preparare in pochissimo tempo. Esseri umani, precari, giudicati falliti, quando è solo il nostro sistema ad averci tagliato le gambe e ad averci chiuso le porte. Molti di noi si svegliano all’alba, viaggiano, spendono anche tutto quello che guadagnano perché nella scuola si sentono realizzati ed è la loro vocazione la loro forza di vivere in quel “malgrado”. Ogni anno ambienti diversi, colleghi, alunni, personale scolastico da conoscere e da cui farsi conoscere. Classi assegnate all’ultimo minuto, libri di testi scelti da altri…E il precario, contro tutti, si rimbocca le maniche. Allora, mi chiedo se sia più preparato un precario che sa gestire programmi, doveri e incombenze, rispetto a chi, sicuro del proprio lavoro, vive nella monotonia di svolgere sempre lo stesso programma, con i manuali che si è scelto, nell’ambiente che ormai conosce da anni. Forse tutta questa selezione bisognerebbe farla per “rispolverare” chi ormai se ne sta nella sicurezza da anni. Inutile giudicare i precari come persone che, non trovando altro lavoro, si sono adattate a supplenze che diventavano sempre più frequenti, per stare in classe con gli alunni, per concludere un anno scolastico: bisogna saper lavorare! Chi non ha la vocazione per questo lavoro lascia. Il misero stipendio non basta nemmeno per condurre una vita dignitosa, a nessuno conviene accettare supplenze saltuarie e se, fino adesso “malgrado tutto” rimane nella scuola, è per amore! E a quella domanda rivolta in un’aula della Statale di Milano, una precaria di cinquant’anni ha raccontato di essere là dopo aver lasciato un altro lavoro solo, perché nei giovani ha visto la vera forza della vita e di loro si è innamorata. Una risposta che ha dichiarato passione per l’insegnamento, un’esperienza di supplenza dopo supplenza, in cui una vita si è realizzata nel donarsi a quei ragazzi offrendo, non solo la cultura utile al loro futuro, ma anche affetto, ascolto, compassione. Questo, perché i ragazzi non hanno bisogno di un genio alla cattedra che ha immagazzinato nozioni su nozioni, bensì un essere in carne ed ossa, che sappia guardarli negli occhi, che sappia capire quando sono sinceri, quando soffrono e quando mentono, che sappiano intuire quale testo, più di un altro, può entrargli nel cuore, se una metafora in una poesia di Leopardi può interessargli più o meno di una metafora scritta in un testo di un cantante, l’importante è che sappia riconoscerla. E chi ha saputo offrire ai giovani un bagaglio culturale per la vita non può essere messo al palio per un titolo che già vive in se stesso.