di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Pubblicato in «Notizie in… controluce», Settembre 2013, pg. 19 Tot. pg.1 http://www.controluce.it
“Lavandare”, di Giovanni Pascoli, poesia scritta nel 1891, esprime la desolazione vissuta dalle donne in attesa dell’amato partito per la guerra. La prima strofa si apre con la descrizione dell’ambiente, “mezzo grigio e mezzo nero“, colori scuri a metà, simbolo di un qualcosa di oscillante tra la speranza e la tristezza, ed evocano solitudine, desolazione, sofferenza, sciagura. Segue la descrizione di un campo dove giace un aratro inutilizzato, “senza buoi” e “dimenticato”. Simbolo di una forza lavoro che viene a mancare nell’oblio del vero valore della vita, perché se non si lavorano i campi non se ne colgono i frutti. In tutto questo arrestarsi non si spegne, solo, il lamento delle donne, affaccendate nel lavare i panni. Gesto rivolto all’avvenire, togliere lo sporco per prepararsi ad accogliere il futuro. Queste donne sono la raffigurazione dell’amore, fedele, accompagnato con caparbietà dalla speranza di trovare una via d’ uscita dallo stallo della situazione vissuta. I versi continuano con la descrizione e ci illustrano il clima. Un vento soffia e scandisce lo scorrere del tempo. Vediamo ancora come protagonista una danna, che riflette sulla vita e consapevole del suo destino riflette sulla sua solitudine. La sua giovinezza si è esaurita nell’attesa di un amore, mai arrivato ed ora è troppo vecchia, per poter formare una famiglia. Sola, inutile, costretta ad invecchiare senza futuro, si guarda attorno e si paragona a quanto vede: un aratro in mezzo ad un campo già aratro, quindi inerte e senza la possibilità di poter essere utile. Storia triste del nostro passato, analoga alla situazione di molti precari, costretti a rimanere fermi, con il loro bagaglio culturale, costato soldi, fatica e sacrifici, in una società in cui non c’ è posto per loro, come un aratro in un campo già arato. Basta pensare ai professori precari, alcuni di loro, nel 2000, avevano superato un concorso ed erano in graduatoria, per poter entrare di ruolo, sono andati avanti, anno per anno, con supplenze saltuarie, nell’ansia e nell’angoscia dell’attesa di un nuovo incarico, senza poter accettare altre opportunità, per non perdere tutto quello che si era costruito: il punteggio. Esami di continuo per soddisfare una richiesta di un nuovo corpo docente altamente preparato, quando poi chi li esamina sono i docenti di ruolo che hanno conquistato il loro posto con una vecchia preparazione che richiedeva parametri più bassi di adesso. Come possono valutare la selezione del nuovo personale docente a cui sono richieste competenze extra? E hanno visto continui tagli. Colleghi che non vanno in pensione e non lasciano il posto a chi cerca di formarsi una vita, esasperati dalla fatica degli anni che scorrono, appesantiti e in attesa di riposo. E poi, hanno visto anche andare in frantumi il loro concorso, perché la graduatoria era rimasta troppi anni! e non si era mai visto un caso simile! Come se la colpa fosse di loro e non dei tagli alle cattedre e alle ore di lezione! Classi pollaio da trenta alunni sui classici quindi, di anni fa, in modo da risparmiare una sezione ed avere due classi in una con meno costi. E ancora, professori di cattedra rimanenti perdente posto. Trentenni che ormai si sentono dire di non essere più giovani, anche se laureati in corso a ventitré anni e seppur, con dottorati e master, borse di studio e pubblicazioni sono rimasti ancora precari, marchiati del distintivo di “fannulloni”, come se studiare fosse una passeggiata e come se i tagli fossero stati voluti da loro. Vite messe al muro senza lavoro destinate alla desolazione, allo sconforto e a gesti tragici, che non mancano a colorare la cronaca odierna. Anni dedicati ad un lavoro in attesa di poter costruire il proprio futuro, per poi sentirsi dire che la strada è chiusa e in altri campi si è ritenuti vecchi, perché tra i requisiti compare il limite di età, non superiore ai trenta! Bisogna sistemare i giovani e per giovani si intende al di sotto dei trent’anni. Cosa dobbiamo aspettarci ancora, camere a gas per disoccupati? Dopo aver visto reso infertile il loro destino… I veri anziani non hanno la possibilità di andare in pensione e chi ha tra i trenta e i quarant’anni viene considerato un vecchio aratro in mezzo alla maggese! Sembra inammissibile un tale ragionamento eppure lo viviamo.